Un pomeriggio sul lago
Inviato: dom giu 30, 2019 1:08 pm
Cari Psiconauti,
spero che vada bene postare qui perchè non so se quella che racconterò è esattamente un’esperienza da sostanze però prima che accadesse avevamo fumato un joint (hash + tabacco).
Quel pomeriggio avevamo deciso per un giro rilassante in barca a remi sul lago anche perchè il viaggio (eravamo in Nepal) si stava rivelando più faticoso del previsto e il giorno dopo ci aspettavano altre 11 ore di spostamenti.
Raggiungiamo uno degli approdi e facciamo conoscenza con Suresh che ci porterà a fare un giro di un’ora sul lago. E’ un ragazzo simpatico e ci troviamo a nostro agio.
Il paesaggio mi affascina moltissimo, non ho viaggiato tanto e dunque tutto mi sembra nuovo e diverso. La barchetta scivola sull’acqua, anche altre piccole imbarcazioni vanno e vengono, c’è una tranquillità assoluta eppure la vegetazione sulle rive sembra esplodere di vita, c’è un continuo fischiare e cinguettare di uccelli e frinire di insetti.
A un certo punto sento un muggito, guardo a sinistra e vedo una rampa di scale in mattoni che sale dalla riva e in cima alla scala vedo delle mucche. Niente di strano mi direte, infatti mi ero ormai abituata a vedere le mucche praticamente ovunque, ma tant’è quel muggito ha attirato la mia attenzione e il mio ragazzo, vedendomi incuriosita dagli animali chiede a Suresh se ci può portare da quella parte. Ci risponde di sì, che ci andremo al ritorno.
Continua quindi il nostro giro sul lago e intanto fumiamo (purtroppo no, non era charas).
Tornando indietro ci fermiamo in fondo alla rampa di scale che conducono a delle stalle, sono annesse a un tempio, scoprirò poi che si tratta del Kedareshwar Mahadev Mani, tempio dedicato a Shiva. Vado verso le mucche e rimango qualche momento vicino a loro mentre il mio ragazzo e Suresh attraversano le stalle per dirigersi verso l’altra parte.
Decido di raggiungerli e mentre sto attraversando la stalla vuota vedo arrivare un ragazzino dalla direzione opposta, magro, capelli e occhi nerissimi, indossa una specie di tunichetta color rosso scuro.
Quando è a pochi passi mi guarda negli occhi e mi saluta lentamente: Namasté. Ora, ero in Nepal ormai da qualche giorno e avevo sentito quella parola penso centinaia di volte, più o meno tutti ti salutano così.
In questo caso però è come se la mia scorza si rompesse a metà rivelando la coscienza nuda. Nel momento in cui posa l’accento sulla “e” quel suono diventa una parola magica che mi cattura e mi stordisce. Non riesco a staccare i miei occhi dai suoi anche se ho paura perchè sento che mi ha riconosciuta e mi vede esattamente per quello che sono, non posso nascondermi. Sa cosa sono intimamente.
Un attimo però, realizzo che lo sto riconoscendo allo stesso modo. Questo corpo di ragazzino non è altro che un contenitore, così come anche io lo sono, è come se fossimo la stessa cosa che si guarda da due paia di occhi diversi e finalmente (o casualmente) si incontra. Mi travolge l’idea che questa “cosa” pervade ogni essere vivente, non solo me, lui e gli altri umani, è naturale che sia così e sono scioccata per non essermene mai resa conto prima.
In un istante tutti i “fatti” della mia vita mi appaiono come un flusso di eventi che non hanno di per sè una connotazione positiva o negativa ma “servivano” solamente per farmi arrivare fino a qui, per incontrare questo ragazzo. Ogni secondo, ogni ritardo, è stato determinante. La sofferenza che ho provato mi appare forse finalmente per quello che è: un’inutile resistenza alla corrente del flusso (fiume?).
Cerco di controllarmi e affronto come riesco la conversazione con il ragazzino del quale purtroppo non ricordo il nome, era per le mie orecchie assai complicato. Parliamo un poco in inglese e riesco a capire che si occupa delle mucche lì nel tempio. Vorrei sapere tutto di lui, sapere come sta passando la sua vita ma sono sopraffatta da ciò che credo di aver visto e sul piano materiale siamo di nuovo due sconosciuti, non me la sento di fargli troppe domande o di abbracciarlo come invece vorrei fare.
L’incontro si conclude in pochi minuti, lui prosegue in direzione degli animali e io verso il tempio. Attraverso una specie di corridoio all’esterno su cui si affacciano piccole stanze e molti occhi incuriositi mi guardano, credo che il mio abbigliamento “europeo” e il giubbetto di salvataggio (obbligatorio per le uscite sul lago) attirino la loro attenzione. Questo aumenta il mio estraniamento, capisco quanto sono lontana dalla natura delle cose e dal senso stesso dell’esistenza. Sono cieca per la maggior parte del tempo.
Raggiungo il mio ragazzo e non riesco a trattenere le lacrime. Piango di gioia e di sorpresa, prima di partire avevo chiesto disperatamente al potere universale di “farsi riconoscere” in qualche modo perchè non sapevo più che pesci prendere. Avevo bisogno, ancora una volta, di un segno per non mollare perchè a volte la vita mi sembra, così come la vivo da cieca, un’inesorabile avvicendarsi di giorni scanditi da doveri, obblighi e sopravvivenza.
Nei giorni successivi, complici la natura stupefacente e le persone che incontriamo, riesco in certo momenti a percepire il “tutt’uno”. Animali, piante, rocce, siamo tutti palpiti dello stesso respiro. Guardo le altre persone che si guardano a loro volta e mi sembra un assurdo gioco di specchi che non riesco a comprendere pienamente, gli altri sono me ma anche io sono loro essendo tutti una cosa sola. Un casino.
Torno a Pokhara tre giorni dopo, vado al tempio per portare al ragazzo della frutta, mele, arance e un melograno. Credo che per lui il nostro primo incontro sia stato un evento banale e penso sia un essere più vicino alla sua natura spirituale, forse per questo incontrarlo ha suscitato in me tante emozioni. Sono contenta di incontrarlo ancora, è con altri ragazzi in una di quelle stanzette dietro alle stalle, stanno guardando qualcosa sul cellulare e mi ringrazia per la frutta.
A distanza di quasi due anni non riesco a dimenticare quel pomeriggio sul lago ma non posso dire che qualcosa sia cambiato significativamente da allora.
E’ come se adesso sapessi qual è il contenuto della scatola ma non potessi aprirla.
Vi sono capitate esperienze simili? Pensate che abbia davvero intravvisto la nostra natura divina o mi sono fatta un completo film?
Grazie per aver letto il mattone e baci a tutti.
spero che vada bene postare qui perchè non so se quella che racconterò è esattamente un’esperienza da sostanze però prima che accadesse avevamo fumato un joint (hash + tabacco).
Quel pomeriggio avevamo deciso per un giro rilassante in barca a remi sul lago anche perchè il viaggio (eravamo in Nepal) si stava rivelando più faticoso del previsto e il giorno dopo ci aspettavano altre 11 ore di spostamenti.
Raggiungiamo uno degli approdi e facciamo conoscenza con Suresh che ci porterà a fare un giro di un’ora sul lago. E’ un ragazzo simpatico e ci troviamo a nostro agio.
Il paesaggio mi affascina moltissimo, non ho viaggiato tanto e dunque tutto mi sembra nuovo e diverso. La barchetta scivola sull’acqua, anche altre piccole imbarcazioni vanno e vengono, c’è una tranquillità assoluta eppure la vegetazione sulle rive sembra esplodere di vita, c’è un continuo fischiare e cinguettare di uccelli e frinire di insetti.
A un certo punto sento un muggito, guardo a sinistra e vedo una rampa di scale in mattoni che sale dalla riva e in cima alla scala vedo delle mucche. Niente di strano mi direte, infatti mi ero ormai abituata a vedere le mucche praticamente ovunque, ma tant’è quel muggito ha attirato la mia attenzione e il mio ragazzo, vedendomi incuriosita dagli animali chiede a Suresh se ci può portare da quella parte. Ci risponde di sì, che ci andremo al ritorno.
Continua quindi il nostro giro sul lago e intanto fumiamo (purtroppo no, non era charas).
Tornando indietro ci fermiamo in fondo alla rampa di scale che conducono a delle stalle, sono annesse a un tempio, scoprirò poi che si tratta del Kedareshwar Mahadev Mani, tempio dedicato a Shiva. Vado verso le mucche e rimango qualche momento vicino a loro mentre il mio ragazzo e Suresh attraversano le stalle per dirigersi verso l’altra parte.
Decido di raggiungerli e mentre sto attraversando la stalla vuota vedo arrivare un ragazzino dalla direzione opposta, magro, capelli e occhi nerissimi, indossa una specie di tunichetta color rosso scuro.
Quando è a pochi passi mi guarda negli occhi e mi saluta lentamente: Namasté. Ora, ero in Nepal ormai da qualche giorno e avevo sentito quella parola penso centinaia di volte, più o meno tutti ti salutano così.
In questo caso però è come se la mia scorza si rompesse a metà rivelando la coscienza nuda. Nel momento in cui posa l’accento sulla “e” quel suono diventa una parola magica che mi cattura e mi stordisce. Non riesco a staccare i miei occhi dai suoi anche se ho paura perchè sento che mi ha riconosciuta e mi vede esattamente per quello che sono, non posso nascondermi. Sa cosa sono intimamente.
Un attimo però, realizzo che lo sto riconoscendo allo stesso modo. Questo corpo di ragazzino non è altro che un contenitore, così come anche io lo sono, è come se fossimo la stessa cosa che si guarda da due paia di occhi diversi e finalmente (o casualmente) si incontra. Mi travolge l’idea che questa “cosa” pervade ogni essere vivente, non solo me, lui e gli altri umani, è naturale che sia così e sono scioccata per non essermene mai resa conto prima.
In un istante tutti i “fatti” della mia vita mi appaiono come un flusso di eventi che non hanno di per sè una connotazione positiva o negativa ma “servivano” solamente per farmi arrivare fino a qui, per incontrare questo ragazzo. Ogni secondo, ogni ritardo, è stato determinante. La sofferenza che ho provato mi appare forse finalmente per quello che è: un’inutile resistenza alla corrente del flusso (fiume?).
Cerco di controllarmi e affronto come riesco la conversazione con il ragazzino del quale purtroppo non ricordo il nome, era per le mie orecchie assai complicato. Parliamo un poco in inglese e riesco a capire che si occupa delle mucche lì nel tempio. Vorrei sapere tutto di lui, sapere come sta passando la sua vita ma sono sopraffatta da ciò che credo di aver visto e sul piano materiale siamo di nuovo due sconosciuti, non me la sento di fargli troppe domande o di abbracciarlo come invece vorrei fare.
L’incontro si conclude in pochi minuti, lui prosegue in direzione degli animali e io verso il tempio. Attraverso una specie di corridoio all’esterno su cui si affacciano piccole stanze e molti occhi incuriositi mi guardano, credo che il mio abbigliamento “europeo” e il giubbetto di salvataggio (obbligatorio per le uscite sul lago) attirino la loro attenzione. Questo aumenta il mio estraniamento, capisco quanto sono lontana dalla natura delle cose e dal senso stesso dell’esistenza. Sono cieca per la maggior parte del tempo.
Raggiungo il mio ragazzo e non riesco a trattenere le lacrime. Piango di gioia e di sorpresa, prima di partire avevo chiesto disperatamente al potere universale di “farsi riconoscere” in qualche modo perchè non sapevo più che pesci prendere. Avevo bisogno, ancora una volta, di un segno per non mollare perchè a volte la vita mi sembra, così come la vivo da cieca, un’inesorabile avvicendarsi di giorni scanditi da doveri, obblighi e sopravvivenza.
Nei giorni successivi, complici la natura stupefacente e le persone che incontriamo, riesco in certo momenti a percepire il “tutt’uno”. Animali, piante, rocce, siamo tutti palpiti dello stesso respiro. Guardo le altre persone che si guardano a loro volta e mi sembra un assurdo gioco di specchi che non riesco a comprendere pienamente, gli altri sono me ma anche io sono loro essendo tutti una cosa sola. Un casino.
Torno a Pokhara tre giorni dopo, vado al tempio per portare al ragazzo della frutta, mele, arance e un melograno. Credo che per lui il nostro primo incontro sia stato un evento banale e penso sia un essere più vicino alla sua natura spirituale, forse per questo incontrarlo ha suscitato in me tante emozioni. Sono contenta di incontrarlo ancora, è con altri ragazzi in una di quelle stanzette dietro alle stalle, stanno guardando qualcosa sul cellulare e mi ringrazia per la frutta.
A distanza di quasi due anni non riesco a dimenticare quel pomeriggio sul lago ma non posso dire che qualcosa sia cambiato significativamente da allora.
E’ come se adesso sapessi qual è il contenuto della scatola ma non potessi aprirla.
Vi sono capitate esperienze simili? Pensate che abbia davvero intravvisto la nostra natura divina o mi sono fatta un completo film?
Grazie per aver letto il mattone e baci a tutti.